Fanali azzurri a parte, Valeria Bruni Tedeschi appare decisamente poco riconoscibile: acqua e sapone, biondo smorto, castigata in un montgomery deforme, e soprattutto senza un filo di sorriso; l’opposto della bizzosa fatalona delle opere di Virzì. Nanni Moretti invece è quasi un cliché: barba nera, occhiali, maglione infeltrito. La seconda volta (1995) di Mimmo Calopresti segna il passo solo nel look dei due protagonisti. Per il resto, la storia di vittime e carnefici che racconta non è invecchiata affatto: Alberto Sajevo (Moretti) è un ex dirigente Fiat che dopo molto tempo rincontra per caso la brigatista che lo ferì gravemente negli anni di piombo, ancora detenuta ma in permesso lavoro; e se ne ossessiona.
La rielaborazione, dunque, di un rimosso personale e storico. La volontà di godere di una «seconda volta», di una nuova possibilità, accenderà entrambi benché l’epilogo poi dimostrerà il contrario.
Film di non facile realizzazione: era un soggetto liberamente ispirato al libro autobiografico Colpo alla nuca di Sergio Lenci, che all’epoca sembrava di scarso interesse. «Ma a chi frega oggi del terrorismo» è il refrain che Calopresti si sentì ripetere più volte anche durante la lavorazione di questo suo primo lungometraggio, giunto dopo una cospicua gavetta di corti e documentari. All’opinione pubblica di metà anni 90, le Br suonavano in effetti come roba vecchia: la globalizzazione bruciava le tappe, nasceva internet e il passato, per di più scomodo, se ne stava rattrappito nello sgabuzzino 1.0.
Invece al regista calabrese trapiantato sul Po gli ex rivoluzionari intrigavano ancora. Ne aveva frequentati un po’ in libertà vigilata. «A Torino venni chiamato a dare corsi di video in carcere, nell’ambito di una iniziativa per il reinserimento dei detenuti. Lì — confiderà a tempimoderni.com — conobbi alcuni ex terroristi rossi dissociati, che ho continuato a frequentare per un anno, anche al di fuori dal carcere, nei loro rispettivi posti di lavoro, unica possibilità per vederli». Scrisse una sceneggiatura, ricusata da tutti («ma a chi frega oggi...») eccetto la Sacher di Nanni Moretti.
Ne sortì un buon film, con l’apporto produttivo anche di Angelo Barbagallo, oggi forse un po’ dimenticato ma al tempo riuscì a salire fino a uno scalino dalla Palma d’oro per la regia (nomination a Cannes). Ambientazione se non cupa certamente sospesa. Calopresti puntò su una Torino languida: sfilano monocrome piazza Solferino, piazza Cavour, corso Cairoli. Sotto il caos calmo però la materia è incandescente. Ciak d’oro 1996 miglior opera prima.